Il Divorzio breve è legge! Legge n. 55/2015

Numerosi studi condotti sui rapporti familiari hanno registrato un considerevole aumento delle crisi coniugali a causa di svariati fattori.

Primo fra tutti il cambiamento di mentalità e di abitudini che caratterizza l’odierna società moderna.

Già da tempo si è avvertita, quindi, l’esigenza e la necessità di dettare un’adeguata disciplina giuridica al complesso e delicato fenomeno della “crisi coniugale”.

Prima di procedere all’analisi della recente Legge n. 55/2015,[1] recante “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”, è opportuno fare un salto nel passato al fine di poter meglio comprendere le copiose difficoltà che, di fatto, hanno rallentato l’emanazione della legge di cui si parla.

Correva l’anno 1800 quando il Codice di Napoleone già consentiva di scogliere i matrimoni civili, pur essendo necessario il consenso dei genitori e dei nonni.

Riguardo al nostro Paese, con l’Unità d’Italia, il divorzio rimase un argomento da non toccare, per intenderci una sorta di tabù.

Nel 1902 fu negata l’approvazione ad una direttiva del governo Zanardelli che prevedeva il divorzio solo in caso di adulterio, lesioni al coniuge e condanne gravi. Tuttavia, bisognerà attendere la seconda metà degli anni 60’ per intraprendere la battaglia in nome del divorzio.

Non sono mancate critiche, soprattutto a causa della frattura netta che, con l’introduzione dell’istituto giuridico in questione, si è verificata rispetto ad una tradizione millenaria ispirata alla dottrina-cristiana e all’indissolubilità del matrimonio.[2]

Non è stato per nulla facile raggiungere l’attuale traguardo ma, dopo ostracismi e ripetuti rinvii, anche in Italia il “Divorzio – breve” finalmente è legge!

Con l’entrata in vigore della riforma si assiste ad una vera e propria rivoluzione per il nostro Paese che, con passo moderato, comincia ad allinearsi alla legislazione degli altri Stati Europei, dove chiudere un rapporto di coppia è da tempo molto più semplice.

La nuova legge (L. n. 55/2015) racchiude numerose novità, innanzitutto i tempi: in luogo dei tre anni previsti dalla precedente disciplina (L. n. 898/1970), basteranno dodici mesi per dirsi addio, ponendo così fine ad un rapporto di coppia che non ha più ragione di esistere, nel caso di separazione giudiziale. Il termine decorre dalla comparsa dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione.

Il termine si riduce a sei mesi nelle separazioni consensuali, indipendentemente dalla presenza o meno di figli, ed anche se le separazioni inizialmente nascevano come contenziose.[3]

Un’ulteriore novità riguarda la comunione dei beni.[4] La legge n. 55/2015, difatti, anticipa lo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi al momento in cui il Presidente del Tribunale, all’udienza di comparizione, autorizza la coppia a vivere separata (per le separazioni giudiziali), ossia alla data di sottoscrizione del verbale di separazione omologato (per le separazioni consensuali). In precedenza, invece, lo sciogliemmo della comunione dei beni tra i coniugi avveniva solo con il passaggio in giudicato della sentenza. Inoltre, l’ordinanza con la quale i coniugi vengono autorizzati dal giudice deve essere comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull’atto di matrimonio.

Il legislatore, poi, con fare meticoloso ha dettato una disciplina transitoria precisando che: le nuove norme in materia di abbreviazione dei tempi per inoltrare la domanda di divorzio e per lo scioglimento della comunione legale, si applicheranno anche ai procedimenti in corso alla data in cui è entrata in vigore la riforma.

Trattasi di una riforma davvero epocale per il nostro Paese e per tutte le coppie che hanno fortemente sperato di mettere “velocemente” una pietra sul passato.

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Dott.ssa Dalia Zarone

 


[1] La riforma modifica la legge n. 898/1970, cd. legge sul divorzio, rimasta immutata per circa trent’anni, le ultime modifiche infatti risalgono alla L. n. 74/1987

[2] Nonostante l’indiscutibile laicità dello Stato Italiano, nessuno può negare l’influenza che la dottrina-cristiana ha da sempre esercitato sull’istituto giuridico in questione. In ragione di ciò, il nostro legislatore ha cercato di compiere in bilanciamento tra diverse esigenze. Il nostro ordinamento giuridico, infatti, non ammette in divorzio meramente consensuale – cioè determinato e pronunciato per effetto della sola volontà delle parti, come previsto in altri Paesi- ma solo per le cause tassativamente previste dalla legge. Tuttavia, non occorre certamente il consenso di entrambi i coniugi per poter divorziare, potendosi ottenere lo scioglimento civile del matrimonio anche per volontà unilaterale. In altri termini, il nostro ordinamento giuridico ha accolto il cd. divorzio-rimedio e non il divorzio-sanzione né quello puramente consensuale.

[3] La separazione può essere definita come la condizione dei coniugi nella quale si affievolisce il vincolo coniugale. Nello specifico, essa sospende la convivenza ed i doveri reciproci ad essa legati, ma il matrimonio non si scioglie né cessano i suoi effetti.
Il nostro ordinamento attua una distinzione tra: 1) separazione consensuale che prevede il consenso espresso dei coniugi, i quali giungono ad un accordo sulla spartizione dei beni in comunione e sull’affidamento dei figli nonché su tutte le eventuali questioni connesse alla separazione stessa;2) separazione giudiziale si caratterizza per il disaccordo dei coniugi in ordine alla separazione e alla sua regolamentazione.

[4] La comunione dei beni è il regime volto a realizzare la condivisione, da parte dei coniugi, degli incrementi di ricchezza conseguiti dagli stessi, anche per effetto dell’attività separata di ciascuno di essi. In mancanza di diversa convenzione, la comunione legale è il regime patrimoniale della famiglia.
La comunione legale non comprende tutto quello che appartiene a ciascuno dei coniugi, in quanto ha ad oggetto solo gli acquisti compiuti durante il matrimonio (ad esclusione dei beni personali). È importante precisare che il nostro ordinamento giuridico distingue: a)la comunione immediata con la quale si fa riferimento a tutti i beni che fin da subito rientrano nella comunione dei coniugi; b) la comunione de residuo, invece, riguarda i beni che cadono nella comunione al momento della scioglimento della stessa.
Diversamente, i beni personali sono esclusi dalla comunione. Sono beni personali: 1) beni di cui il coniuge già era titolare prima del matrimonio;
2) beni da lui acquistati successivamente al matrimonio a seguito di una donazione o successione;
3) beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge;
4) beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;
5) beni ottenuti a titolo di risarcimento danno e la pensione relativa alla perdita della capacità lavorativa.